musica e musicisti a Venezia dalle origini ad Amendola

 

Maria Girardi

 

diana, hanno trovato nel corso del '700 e dell'800 una vastissima risonanza, tant'è che cronache e resoconti dell'epoca non hanno mai lesinato nel citarle e descriverle.

"Quasi ogni sera" -scriveva lo storico francese de Brosses nelle Lettres familières écrites d'Italie en 1739 et 1740- "in qualche luogo c'è accademia di musica ed il popolo si affretta a correre ad udirla con sempre nuovo ardore".

Come suggerisce il nome stesso queste canzoni venivano cantate prevalentemente in barca (in "batelo"; "en plein air", o nei campielli, durante le gite in laguna o verso le ville venete del Terraglie e della riviera del Brenta. Così recita uno dei tanti testi settecenteschi

O voressi andar a spasso su la Brenta o in altra banda?
Cento Ioghi godarè!
Go un casin belo a la Mira, uno a Stra,
l'altro a Noventa e a Zenson,
se ancor vorè.

Ma anche in città non mancavano occasioni per ascoltare tali canzoni, specialmente lungo il percorso del Canal Grande o nei piccoli rii, grazie all'a-bilità canora degli stessi gondolieri che cantavano con garbo rispondendosi da un'imbarcazione all'altra.

Erroneamente definite "canzoni popolari", probabilmente per la loro diffusa pratica tra i popolani e tra i nobili, le canzoni da battello sono dei piccoli lavori di squisita fattura che, seppure rimasti nell'anonimato, fanno pensare ad una loro estrazione colta, sensibilmente vicina alla maniera di Vivaldi, di Lotti e di Galuppi, come del resto testimoniano i numerosi manoscritti per voce e basse continuo.

Talvolta i testi delle composizioni ci suggeriscono altre possibili rielabora-zioni, meno scarne, con delle eventuali aggiunte strumentali; in Putazze ciassose possiamo leggere uno dei possibili esempi:

Co un pèr de violini

e un basso che avemo
se la godemo
che alegro vói star.

Noi vói marmotine,
vói godar contento;
el cuor proprio sento
in pèto sbalzar.

Il dialetto veneziano contribuisce poi non poco ad arricchire di ironia e di spigliatezza queste canzoni, semplicissime dal punto di vista musicale: i temi ricorrenti sono quelli della commedia, ma l'amore nelle sue varie sfaccetta-ture è il protagonista indiscusso di ogni piccolo quadretto.

Dall'amore dolente segnato dalla partenza dell'innamorato, in Sento ch'el cor me manca:

Mi no credeva mai
vegnir a un passo tal
e che d'amor un stral
sto afano dasse;
la m'è tocada a mi,
gramo desfortunà.

Fuss'io almanco schiopà
co gera in fasse.

si passa ad una più appassionata dichiarazione, in Quei oci me fa guera:

Co me dè un'ociadina
me fè trar dei sustoni;
xe queli segni boni
d'un vero inamorà.

Quando che vu ridè,
forte 'l cuor me ponzè;
insomma, parlo ciaro,
so molto cusinà.

dalle schermaglie amorose in Le gatarigole:

Le gatarigole
me sento atorno
de far in fregole
quel paronçin
che va licando
da çento pute;
de burlar tute
za l'è "l so fin.

(. . .) Certo sto spasemo
vogio che l'abia,
voglio puzarghele,
lo vòi segnar,
açio l'impara
o Cate o Beta,
Checa o Luçieta
tute a burlar.


Stra. Villa Pisani.

 

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